Le frasi più belle di Dante nella Divina Commedia: aforismi, citazioni ed i versi più celebri

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Dante Alighieri è il padre della lingua italiana, autore di uno dei migliori capolavori della lettura mondiale: la Divina Commedia. Pur essendo stata stampata nel 1477, il suo testo è tutt’ora ricco di aforismi e citazioni, includendo anche gli insegnamenti più memorabili che ci fanno riflettere sulla vita.

Dopo aver riletto il suo magnifico testo e rivisto i canti del Paradiso ed Inferno, abbiamo effettuato una raccolta delle parole più significative. A seguito troverai le frasi d’amore più belle della Divina Commedia, versi danteschi e dediche da salvare o condividere.

Vediamo insieme quali dei versi a seguire hanno segnato per sempre la letteratura italiana, ammirando anche le foto con testo uniche che abbiamo creato. Se ami leggere sappi che abbiamo anche una raccolta completa di frasi belle dai libri, come anche un altro sulle citazioni indimenticabili di Harry Potter.

Le più belle frasi di Dante Alighieri

Perché quando lo strumento dell’intelligenza si somma alla forza bruta e alla malvagia volontà, il genere umano è impotente a difendere sé stesso.

Nessun maggior dolore
che ricordarsi del tempo felice
né la miseria.

Non può comprendere la passione chi non l’ha provata.

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Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza.

Se mala cupidigia altro vi grida, uomini siate, e non pecore matte, sì che ‘l Giudeo di voi tra voi non rida!

Giusti son due, e non vi sono intesi; | superbia, invidia e avarizia sono | le tre faville c’hanno i cuori accesi.

Tra male gatte era venuto ‘l sorco.

Quel ch’era dritto, il trasse ver’ le tempie, | e di troppa matera ch’in là venne | uscir li orecchi de le gote scempie; | ciò che non corse in dietro e si ritenne | di quel soverchio, fé naso a la faccia | e le labbra ingrossò quanto convenne. | Quel che giacëa, il muso innanzi caccia, | e li orecchi ritira per la testa | come face le corna la lumaccia; | e la lingua, ch’avëa unita e presta | prima a parlar, si fende, e la forcuta | ne l’altro si richiude; e ‘l fummo resta.

Ché voler ciò udire è bassa voglia.

Che ti fa ciò che quivi si pispiglia?

E se le fantasie nostre son basse a tanta altezza, non è maraviglia; ché sopra ‘l sol non fu occhio ch’andasse.

Sempre la confusion de le persone | principio fu del mal de la cittade.

Tant’è amara che poco è più morte;
ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai,
dirò de l’altre cose ch’i’ v’ho scorte.

Vedo il meglio ed al peggior mi appiglio.

Lume v’è dato a bene e a malizia.

L’amore è più forte della vita e tanto vicino alla morte.

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Che dentro a li occhi suoi ardeva un riso Tal, ch’io pensai di toccar cò miei lo fondo De la mia gloria e del mio paradiso.

Non ragioniam di lor, ma guarda e passa.

Per lor maledizione sì non si perde, che non possa tornar, l’etterno amore, mentre che la speranza ha fior del verde.

Amor, che al cor gentil ratto s’apprende, prese costui della bella persona che mi fu tolta; e il modo ancor m’offende. Amor, che a nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m’abbandona.

Uomini siate, e non pecore matte.

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Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?

Ben poco ama colui che ancora può esprimere, a parole, quanto ami.

Quel sol che pria d’amor mi scaldò ‘l petto, di bella verità m’avea scoverto, provando e riprovando, il dolce aspetto.

Lasciate ogni speranza, voi ch’entrate.

I posti più caldi all’Inferno sono riservati a coloro che nei momenti di grande crisi morale mantengono la loro neutralità.

«Figliuol mio,» disse ‘l maestro cortese, | «quelli che muoion nell’ira di Dio | tutti convegno qui d’ogni paese; e pronti sono a trapassar lo rio | chè la divina giustizia li sprona, sì che la tema si volve in disìo.

Chi è costui che sanza morte va per lo regno de la morta gente?

Ché perder tempo a chi più sa più spiace.

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Quando leggemmo il disiaso riso esser baciato da cotanto amante, quedti, che mai da me non fia divino, la bocca mi baciò tutto tremante. Galeotto fu il libro e chi lo scrisse: quel giorno più non vi leggemmo avante.

Libertà va cercando, ch’ è si cara come sa chi per lei vita rifiuta.

Amor che nella mente mi ragiona cominciò egli a dir si dolcemente che la dolcezza ancor dentro mi suona.

Poscia ch’io v’ebbi alcun riconosciuto, vidi e conobbi l’ombra di colui che fece per viltà il gran rifiuto.

La gloria di colui che tutto move
per l’universo penetra, e risplende
in una parte più e meno altrove

O sol che sani ogne vista turbata, tu mi contenti sì quando tu solvi, che, non men che saver, dubbiar m’aggrata.

L’amor che move il sole e l’altre stelle.

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Ché perder tempo a chi più sa più spiace.

Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura
ché la diritta via era smarrita.

Non ragioniam di lor, ma guarda e passa.

Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di provincie, ma bordello!

Tre cose ci sono rimaste del paradiso: le stelle, i fiori e i bambini.

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Niente dà più dolore che il ricordare i momenti felici nell’infelicità.

Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza.

La stirpe non fa le singulari persone nobili, ma le singulari persone fanno nobile la stirpe.

Temer si dee di sole quelle cose c’hanno potenza di fare altrui male; de l’altre no, ché non son paurose.

Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e ‘l modo ancor m’offende.
Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona.
Amor condusse noi ad una morte:
Caina attende chi a vita ci spense!